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Ida Finzi, scrittrice assai nota a Trieste nei primi decenni del Novecento, è ospite dall’aprile 1944 fino alla fine della guerra presso la casa di riposo di Portogruaro, dove si è rifugiata per sfuggire alla deportazione.
Quando Haydée è accolta all’Opera Pia Francescon ha quasi settantasette anni. La sorella Clotilde, di ottantaquattro anni, cieca e non più autosufficiente (ricoverata a Trieste presso la Pia Casa Gentilomo, un ospedale israelitico, adibito anche a ricovero per vecchi) è già stata prelevata il 20 gennaio dai tedeschi e portata a S. Sabba. Clotilde non si è resa conto di cosa sia accaduto. Ha capito solo che, improvvisamente, la sua vecchia domestica ariana, che le è stata vicina per anni, non ha più risposto ai suoi bisogni e per questo, confusa e stordita, l’ha chiamata invano per giorni in quel luogo d’orrore, persa in un’angoscia cieca e senza sbocchi. Deportata da Trieste il 28 gennaio successivo, la povera vecchia è stata uccisa all’arrivo ad Auschwitz. Nel luogo di rifugio dove si trova nel gennaio del 1944 (forse a Roma) Ida Finzi probabilmente non ha saputo dell’arresto della sorella.
Qui a Portogruaro gli anziani ricoverati sono un centinaio e, di questi, quasi una metà è costituita da ammalati cronici. La lotta per il cibo impegna giornalmente gli organi direttivi e le suore della Provvidenza che gestiscono la casa. Difettano i generi di prima necessità, mancano il riscaldamento e perfino le lenzuola, che in un ospizio dovrebbero essere cambiate giornalmente, il sapone per lavarle. In Ida Finzi il disagio contingente si somma, tuttavia, a una profonda angoscia interiore, proiettata come ella è in un ambiente diverso dal suo, lontana dai propri cari, dispersi chissà dove dalla persecuzione razziale, inseguita dalla paura di essere identificata.
Ida Finzi non è una povera vecchia ebrea qualsiasi: tra Otto e Novecento e per lo meno fino alla proclamazione delle leggi razziali, è stata nota non solo a Trieste, ma in tutta Italia come scrittrice di novelle e romanzi, come poetessa e come corrispondente dei più noti periodici d’Italia, poche donne come lei popolari e amate sia dal pubblico dei lettori raffinati che dal grande pubblico.
Quando la scrittrice approda a Portogruaro, sono passati solo sei anni da quell’allontanamento, ma ancora bruciano nel ricordo di Haydée le parole che hanno
tagliato di netto, nel 1938, il suo legame cinquantennale con la propria attività di scrittrice e di giornalista, l’unica, grande passione della sua vita. C’è anche chi racconta che nei giorni in cui anche a Portogruaro le SS si attivano per arrestare alcuni ebrei ospiti (i Mordo, i Besso) qualcuno ne dia preavviso alle suore della casa di riposo e che lei venga quindi per qualche tempo tolta dall’ospizio e accolta in altro luogo, in attesa della fine della retata, ma di questo fatto non si è trovato localmente alcun riscontro.
Anche Ida Finzi sente, il 28 aprile del 1945 alle ore sedici, a Portogruaro, il suono delle campane che annunciano l’arrivo della pace, dopo che i tedeschi e i fascisti si sono arresi alle forze partigiane in molte località del Veneto Orientale.
Quando finalmente il nipote Sergio, il 16 gennaio del ’46 può raggiungere la zia nella casa di riposo di Portogruaro, la trova molto malandata in salute, soprattutto – scrive – «notevolmente peggiorata nelle sue facoltà mentali» e «soggetta a delle fissazioni». Essa soffre in particolare per il freddo della casa, ancora priva di riscaldamento, tanto che il nipote si attiva perché le venga inviato un vecchio golf «in modo che si copia almeno bene le spalle quando rimane seduta sul letto». Non ci sarà una seconda visita del nipote, né il fratello Mario che pure l’ha raggiunta subito dopo la fine della guerra con le sue lettere dal luogo in cui ha trovato rifugio durante la persecuzione, potrà avere la possibilità di vederla viva per l’ultima volta: Ida Finzi, infatti, muore il 23 gennaio successivo, dopo solo qualche giorno dalla visita del nipote.
Haydée ha scoperto l’abisso del nazismo quando, venuta la pace, si è cominciato a conoscere fino in fondo l’orrore di Auschwitz, fino ad allora non conosciuto dai più nelle sue dimensioni reali. Ne sono prova gli ultimi versi scritti a Portogruaro all’indomani della liberazione e dedicati a Hitler,
il condottiero dei morti
cui sale da ogni cuor di madre infranto
un grido d’orrore e di pianto.
Peseranno in eterno, in eterno, in eterno
le tonnellate dei morti!